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ANDREA COCCIA

per la campagna per la Parità di Informazione Positiva #mezzopieno

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Giornalista e scrittore.

Ha co-fondato Slow News ed è membro del collettivo satirico L‘antitempo (Premio della Satira di Forte dei Marmi 2013). Impegnato in un giornalismo lento, costruttivo e non-violento. Ha pubblicato la raccolta di racconti I giorni più lunghi del Secolo breve (Ledizioni, 2019) ed è tra gli autori del documentario Slow News A militant documentary (Ik Produzioni, 2020).


Qual è per lei il ruolo dell’informazione sul benessere della società?

Una società sana è quella formata da una cittadinanza libera, e una cittadinanza libera si ha solo e soltanto se quella cittadinanza è informata. C’è però un equivoco alla base del giornalismo contemporaneo ed è che si concentra esclusivamente sulle cosiddette “news” e non sulle vere notizie. Che differenza c’è? Semplice: la news è una cosa nuova che solo dal sua carattere di novità e di eccezionalità trae il suo valore, ma che, proprio perché è nuova, nasce già superata dalla novità seguente. Notizia, invece, nella sua radice latina, non ha in sé il significato di novità, deriva dal verbo noscere, che significa conoscere. È un mattoncino di conoscenza, che quindi di per sé è costruito per restare, come tutti i mattoncini. Noi crediamo che il dovere dell’informazione, quella sana che forma e dà libertà alla cittadinanza, debba essere di questo secondo tipo. Deve nascere per
restare, per accumularsi e creare consapevolezza, sapere, crescita. Tutto il contrario delle “news” di cui ci bombardano oggi.

 

Cos’è per lei una buona notizia?

Non siamo amanti delle buone notizie solo perché sono buone. Il mondo è tutto ciò che accade e nel mondo ci sono anche le brutte notizie. Noi crediamo però nell’esistenza delle notizie buone, di contro alle notizie cattive. Quelle buone sono le vere notizie di cui sopra, ciò che ci fa conoscere e crescere in consapevolezza, le soluzioni ai problemi. Quelle cattive sono invece le news, quelle che servono solo a tenerci occupati fino alla news successiva e che non costruiscono nulla.

 

Può il giornalismo rappresentare uno strumento per aumentare la fiducia e ridurre la conflittualità?

Sì, assolutamente, e può farlo dal momento che si prefigge di formare la consapevolezza di cui sopra, di nutrire il senso critico e dare ai cittadini gli strumenti per interpretare il mondo, la società, la politica, l’economia. La conflittualità non è la normalità, come la maggior parte delle persone non è un omicida. Le news parlano solo dei mostri e li fanno sembrare normali. Le notizie in cui crediamo noi, invece, parlano di tutti noi e ci aiutano a migliorare, a crescere, a imparare. Non ci fanno paura, ci danno coraggio. Non ci fanno lamentare o indignare a vuoto, ci offrono soluzioni, ci danno speranze.

 

Qual è il suo contributo per una buona informazione?

Slow News, da quando esiste, si impegna a diffondere una informazione che rispetta dei principi, ma che soprattutto ha al suo centro chi legge, lo rispetta, lo include, lo coinvolge. Tutto ciò che facciamo parte da questi presupposti. Il nostro giornalismo non è un prodotto, è una relazione e attraverso le nostre serie, ma anche i nostri eventi, i corsi di formazione e tutte le attività che facciamo per rinsaldare ogni giorno la nostra community
puntano a quello.

 

Cosa vuol dire per lei vedere il bicchiere mezzo pieno?

Significa credere che un altro modo di fare le cose sia possibile, che un altro giornalismo sia possibile. È quello che stiamo facendo ogni giorno da cinque anni: smettere di lamentarci e agire, coinvolgere chi ci legge, formare insieme a loro un ecosistema ricco, inclusivo, variegato, in cui nessuno è straniero. Vedere il bicchiere mezzo pieno è anche rispondere a queste domande e sperare che qualcuno di quelli che verranno raggiunti da queste nostre risposte decidano di aiutarci, di sostenerci, di fare parte della nostra comunità.

 


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