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ANTONELLA PATETE

per la campagna per la Parità di Informazione Positiva#mezzopieno

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Giornalista da sempre impegnata su temi sociali per per testate generaliste e specializzate. Redattrice presso l’agenzia stampa “Redattore sociale”, si occupa di SuperAbile Magazine, una rivista dedicata alla disabilità edita dall’Inail.

 


Qual è per lei il ruolo dell’informazione sul benessere della società?

Non è possibile immaginare una società senza informazione, perché per definizione una società è un insieme di persone che si riuniscono per cooperare a un fine comune e, se non esiste circolazione di notizie, è impossibile anche solo immaginare alcuna forma di collaborazione tra individui e corpi sociali.

 

Cos’è per lei una buona notizia?

Penso che si tratti di un concetto da maneggiare con estrema cautela, perché una divisione troppo netta tra buone e cattive notizie rischia di restituirci una visione manichea dell’informazione e, più in generale, della società. Detto questo, ci sono due modi di intendere una buona notizia: una buona notizia può essere il racconto di come una singola persona, un gruppo, un’organizzazione sociale, un Paese risponde a un problema, cercando soluzioni concrete, eque e sostenibili. Ma presentare una buona iniziativa senza analizzare il contesto e i problemi in cui essa nasce e affonda può diventare operazione stucchevole e superficiale. In secondo luogo, come ci ricordano le carte deontologiche dell’Ordine, si deve parlare di “buona” notizia quando il lavoro del giornalista risponda ai criteri dell’interesse pubblico, della trasparenza, dell’essenzialità e della correttezza dell’informazione. E questo a prescindere dal contenuto.

 

Può il giornalismo rappresentare uno strumento per aumentare la fiducia e ridurre la conflittualità?

Sì, a patto che il giornalista interpreti il proprio ruolo in maniera responsabile, anteponendo la propria funzione sociale a qualsiasi altro criterio, compreso quello del marketing e della visibilità. Inoltre, diffondendo l’informazione sulle buone pratiche e sui movimenti dal basso, il giornalismo ha la straordinaria opportunità di alimentare la consapevolezza dei problemi che attraversano le società, di creare reti sociali e sviluppare cittadinanza.

 

Qual è il suo contributo per una buona informazione?

Da sempre lavoro nell’informazione sociale e non ho esperienza diretta di altro tipo di giornalismo. Anche quando ho collaborato con i media mainstream, ho portato la mia visione dei fatti che è sempre una visione di parte, perché mi piace appunto guardare il mondo dalla parte delle persone più deboli. Mi piace anche l’idea di portare a galla storie minime e punti di vista inediti, cercando sempre ciò che mi unisce e non ciò che mi divide dalle persone che incontro. Negli ultimi anni ho lavorato molto con le persone con disabilità, imparando la forza dell’autorappresentazione. In altre parole, preferisco interpellare i diretti interessati prima delle organizzazioni che li rappresentano.

 

Cosa vuol dire per lei vedere il bicchiere mezzo pieno?

Se vedo un bicchiere mezzo pieno, come prima cosa guardo la bottiglia per capire se è possibile riempire anche l’altra metà! Perché è sì necessario riconoscere quello che abbiamo raggiunto, ma non dobbiamo dimenticare che possiamo porci obiettivi più alti. E questo vale nel buon giornalismo, come nella vita di ognuno di noi.

 


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