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LAILA BONAZZI

per la campagna per la Parità di Informazione Positiva #mezzopieno

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Giornalista professionista per la rivista Marie Claire, di cui è la “sustainability editor”. Si è sempre occupata di temi sociali e di storie di comunità. Membero di The Circle Italia Onlus, un network di donne fondato da Annie Lennox i cui membri, attraverso le proprie competenze e risorse, sostengono progetti a favore delle donne che vivono in difficoltà in Italia e nel mondo.


 

Qual è per lei il ruolo dell’informazione sul benessere della società?

Un ruolo fondamentale, che rischia di perdere quando l’informazione si trasforma in strumento per creare tifoserie, non solo nel giornalismo politico ma in tutti gli ambiti. Abbiamo visto crescere nel 2020 la richiesta di una informazione equilibrata e chiara a causa della pandemia e in questo stesso periodo si è cercato di fare luce sugli episodi più coraggiosi e significativi, con protagonisti persone e comunità che si sono distinte con idee positive e innovazioni. A riprova che i lettori, digitali o meno, sono interessati anche a vedere la metà positiva del bicchiere.

 

Cos’è per lei una buona notizia?

Una storia che mostra una soluzione che può essere replicata o imitata, che faccia sentire qualcuno meno solo o che riesca a far scattare una scintilla di ispirazione in chi la legge. Spesso le persone si sentono isolate con i propri problemi, a volte enormi a volte più piccoli, ma la verità è che non è così. Sentirsi rappresentati da una storia raccontata su un giornale è già uno stimolo a fare qualcosa. Per questo cerco sempre di raccontare storie in cui i protagonisti riescono in qualche modo a infondere coraggio, idee, voglia di cambiamento. Può essere un racconto più serio e toccante, come una donna che riesce a liberarsi dalla violenza e ricominciare, può anche essere la storia di qualcuno che è riuscito in un’impresa di lavoro, nel costruirsi il famoso piano B. Non sono storie scritte con le “lenti rosa” dell’ottimismo assoluto, mostrano che serve fatica e impegno, ma cerco sempre di inserire i dettagli, contatti, le informazioni pratiche che possono tornare utili a chi desidera “imitarli”.

 

Può il giornalismo rappresentare uno strumento per aumentare la fiducia e ridurre la conflittualità?

Potrebbe fare molto di più in questo senso. Oggi il giornalismo di qualità deve competere con molte altre “voci” e spesso tende a sedersi in una comfort zone di lettori che già la pensano come la testata. Bisognerebbe mettersi molto più in gioco per raggiungere un altro pubblico, sfruttando ovviamente il digitale per essere più coinvolgenti.

 

Qual è il suo contributo per una buona informazione?

Mi piace pensare che i periodici femminili, spesso bistrattati come giornalismo minore, siano ancora uno strumento per portare avanti le istanze delle donne e ancora un luogo di confronto aperto, non giudicante e sempre più inclusivo. Questo può essere fatto anche dando spazio ai tanti talenti creativi femminili della moda,
della musica, del cinema: è sempre bello e stimolante leggere del successo di un’altra donna, ne sono convinta. O rappresentando esempi del mondo produttivo che è riuscito a inserire la sostenibilità nel proprio business: a nessuno di noi piace pensare di acquistare qualcosa che danneggia il pianeta o le persone e moltissime aziende, anche italiane, si danno da fare in questo senso. Spesso sono coinvolti i giovani, la tecnologia, il digitale, l’innovazione, la collaborazione fra mondi diversi, insomma non sono storie di bontà strappalacrime ma veri esempi di impegno per costruire strade migliori verso il futuro.

 

Cosa vuol dire per lei vedere il bicchiere mezzo pieno?

Vuol dire non ignorare nessuna delle due metà del bicchiere, ma raccontare la soluzione insieme al problema, la rinascita dopo la caduta.

 


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