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DAVIDE CAVONI

per la campagna per la Parità di Informazione Positiva #mezzopieno

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Giornalista presso TV2000 dove ha condotto i telegiornali e programmi di scienza e bioetica. Autore e presentatore del programma Buone Notizie sulla medesima rete. Ha pubblicato, tra gli altri, Censimento degli invisibili (Fuorilinea, 2016) un viaggio, reale e immaginario, tra gli invisibili che affiorano la realtà, fino a farsi cronaca: malati, migranti, vittime di guerre e regimi e simboli di un viaggio che rispecchia la ricerca di senso di ogni persona.


Qual è il ruolo dell’informazione sul benessere della società?

L’informazione mantiene tutt’oggi un ruolo importante in quanto veicola dei contenuti modificandoli a seconda dei propri obiettivi e, facendo ciò, rappresenta un mezzo di influenza molto potente della società.

In questo senso la buona informazione potrebbe influire sul benessere ma per fare buona informazione dovremmo riuscire a vedere ciò che in genere non riusciamo o non vogliamo vedere, ad esempio tutto ciò che di bello ci circonda.

 

Può il giornalismo rappresentare uno strumento per aumentare la fiducia e ridurre la conflittualità?

Può esserlo cercando di vedere, appunto, il bicchiere mezzopieno. Raccontando le storie che uniscono gli esseri umani. Noi giornalisti di solito siamo a caccia di scoop ma non ho memoria di uno scoop in cui sia comparsa una buona notizia. L’inchiesta importante è considerata quella che include il fattaccio di cronaca, la corruzione e così via. È un approccio sbagliato che indirizza fin dal principio la nostra ricerca in maniera unilaterale.

In questo senso il giornalismo non dovrebbe avere un padrone. Mi spiego: se io sono costretto a fare un’inchiesta perché una certa parte editoriale o politica ha interesse a portarle avanti è un conto ma se lo faccio unicamente perché so che posso generare un valore aggiunto per la comunità è completamente diverso.

Il bene per certi versi è dato per scontato; è qualcosa che non fa notizia. Perciò non abbiamo interesse a raccontare delle storie che spingano l’opinione pubblica ad avere speranza, a rimboccarsi le maniche…a promuovere il benessere. Peraltro oggi siamo anestetizzati dal male e dal dolore tanto che neanche le immagini di guerra o di morte ci fanno effetto, le troviamo nei telegiornali all’ora di cena ma continuiamo a mangiare guardandole.

 

Cos’è per lei una buona notizia? Una buona notizia è accorgersi che in fondo la vita non è solo quel dolore che noi pensiamo di avere dentro quasi fosse innato, come una sorta di peccato originale. La buona notizia è un riscatto della nostra condizione umana, ci consente di andare oltre, di riscattare il dolore e trasformarlo. Altrimenti dovremmo morire ogni volta che soffriamo ma in realtà il dolore ci spinge ad essere meglio di come siamo. In questo senso non c’è buona notizia che non nasca dal dolore. Come cantava Fabrizio De André “dai diamanti non nasce niente dal letame nascono i fiori”.

 

Tre elementi essenziali di una buona notizia.

Da un lato c’è Il racconto: la notizia può diventare un lungo romanzo nel quale ci sono tante storie, storie positive che raccontano la vita.

Dall’altro ci sono due elementi intrecciati tra loro: poesia e la realtà. Siamo abituati a pensare alla poesia come
qualcosa di alto, di etereo. Ma la poesia può essere rintracciata nelle storie e nella realtà, facendo emergere ciò che di poetico esiste nella vita delle persone.

 

Qual è il suo contributo per una buona informazione?

Lo sforzo che noi facciamo con il programma “Buone notizie” è proprio di vedere il bene che c’è, per esempio, in scenari di guerra. Ed abbiamo dimostrato che anche in quel contesto troviamo chi, magari un volontario o un medico, si occupa delle persone, oppure istruisce altri medici e altri volontari ad agire, a far fronte a queste situazioni drammatiche.

A volte il bene è talmente evidente che noi gli passiamo davanti senza vederlo. Ci sono storie all’apparenza banali, che se però andiamo a raccontare assumono importanza. In questo senso il mio è ovviamente un racconto televisivo che cerca però allo stesso tempo di staccarsi dai canoni del telegiornale: proviamo a vedere ciò che gli altri lasciano da parte, senza cercare necessariamente il marcio.

E poi le buone notizie non hanno un copyright e possono essere raccontate da più voci. Ricordo che quando ho
iniziato il programma “Buone Notizie” mi chiamò un amico giornalista del Tg 2 che si occupava anche lui di buone notizie per passarmi una bella storia da raccontare e mi disse “forse ti stupirai che io ti passi questa notizia ma credo che le belle storie debbano essere raccontate più volte perché così facendo ognuno di noi vi aggiunge un tassello”. Ecco, ri-raccontare una storia amplifica il bene. Perciò è anche importante una maggiore umiltà nel
condividerle, senza trasformare tutto in una gara a livello giornalistico.


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