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FEDERICO FERRERO

per la campagna per la Parità di Informazione Positiva #mezzopieno

Giornalista per Il Corriere, scrittore e cronista sportivo per Eurosport. Ha scritto, tra gli altri, Alla fine della fiera. Tangentopoli vent’anni dopo (Add editore, 2012), una riflessione sul modo in cui è cambiata l’Italia in seguito al tornado giudiziario e giornalistico più importante del dopoguerra italiano.


 

Qual è il ruolo dell’informazione sul benessere della società?

Fondamentale ma, se si parla di fonti tradizionali, sempre più marginale. I giornali, in specie, ormai parlano a un
pubblico sparuto, quando fino a 20 anni fa erano una potentissima e pressoché esclusiva, tra carta e televisione, fonte di notizie. Sapere le cose, essere informati bene è basilare per qualunque società, tant’è vero che dove c’è meno libertà gli interventi a detrimento della libertà di stampa sono palesi perché lì si gioca parte della conquista e della gestione del potere. Semmai, la sfida di oggi è quella di capire quale altra fonte affidabile e generalista si può sviluppare, per evitare che i cittadini si perdano nel mare di siti, social e sedicenti informatori che gettano nell’oceano del web milioni di notizie false, trattate in maniera trasandata, non verificate, quando non costruite ad arte. Si tratta di un problema gigantesco, con il quale l’editoria si è messa a fare i conti troppo tardi

 

Può il giornalismo rappresentare uno strumento per aumentare la fiducia e ridurre la conflittualità?

Teoricamente sì, perché la funzione di chi crea notizie è proprio quella di “prendere per mano” il lettore e portarlo a un livello superiore di consapevolezza, ovviamente mantenendo intatta la libertà di ciascuno di decidere e “votare” in senso ampio rispetto agli accadimenti del mondo. Nella pratica meno, perché il ruolo del giornalista è stato fortemente messo in discussione e, oggi, è fortemente screditato. Recuperare la fiducia e il rapporto con i lettori, nella realtà digitale che è così frammentata e caotica, è molto complicato. C’è da augurarsi che la gente, prima o poi, capisca che il mare magnum di Internet può sortire l’effetto opposto rispetto alla “democrazia dell’informazione” i cui sostenitori credono che giornali e giornalisti siano superati. Saranno superate certe forme, l’edicola, la carta in milioni di copie, ma il modello del giornalismo non è malvagio di per sé: non è vero che essere professionisti della notizia significhi avere un piedistallo da cui far cadere il sapere verso la piazza; anzi, il giornalista dovrebbe essere protetto e aiutato nella sua ricerca di indipendenza proprio perché il suo lavoro deve essere al servizio dei cittadini. Sicuramente gli esempi negativi di questi ultimi anni non hanno contribuito alla reputazione della professione del giornalista, che sempre più spesso viene visto come un manipolatore, un servo del potere.

 

Cos’è per lei una buona notizia?

Credo sia buona la notizia filtrata attraverso il detto “tutto ciò che vale la pena di essere stampato”, anche se ormai la carta è in via di estinzione o, almeno, di confinamento in qualche riserva per nicchie di appassionati. Non tutto quello che succede diventa notizia, bisogna saper decidere cosa lo è e cosa no. Buono, poi, non
necessariamente significa trattare un argomento positivo. Dare notizie buone significa dare strumenti alle persone per pensare, valutare, conoscere la realtà o una parte della realtà.

 

3 elementi essenziali di una buona notizia

Prima di tutto che sia una notizia, cioè che rivesta un carattere di informazione utile a chi la riceve, che faccia
conoscere ciò che non si sa o qualcosa di nuovo su ciò che già si sa, o su cui si sa poco. Che sia riportata con fedeltà, il che non significa imparzialità perché tutto ciò che è filtrato è necessariamente “passato” attraverso
il giudizio personale. Ma va mantenuta l’obiettività, separare la notizia dalle opinioni sulla notizia. Infine, che sia scritta bene, o raccontata bene. La lingua non è solo uno strumento ma è sostanza, può esaltare o rovinare
qualunque notizia.

 

Qual è il tuo contributo per una buona informazione?

Nella mia limitatissima sfera di influenza, cerco di lavorare con professionalità. Elio Petri diceva una cosa
bellissima, che “L’ultima frontiera della resistenza è fare le cose bene”. A volte sembra sia inutile, perché c’è un fiume in piena che va nella direzione opposta. Cerco di essere indipendente in ciò che scrivo e che dico, rispondendo alla mia coscienza e a quanto so e ho capito degli argomenti che tratto. Cerco di lavorare con cura, la sciatteria è il veicolo di diffusione più facile e più ammorbante del cattivo giornalismo. Non ho mai scritto
per compiacere un editore o coloro di cui raccontavo le storie e questo, talora, mi è costato parecchio. Però non vedo altri modi di fare questo mestiere.


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