Quasi il 70% dei
semi oggi in commercio proviene da società multinazionali che, tramite il
sistema dei brevetti ed altre forme di tutela della proprietà intellettuale, ne
controllano l’utilizzo e la diffusione da parte degli agricoltori. Chi acquista
queste sementi, spesso non può riprodurle ne utilizzarle per più di un raccolto ed è
impossibilitato allo scambio dei semi con altri agricoltori, pratica in uso fino
al recente passato che puntava a migliorare la resa dei raccolti e a rafforzare
i legami comunitari.
Per offrire
un’alternativa al mercato dell’agri business, la Open Source Seed Intitiative
(OSSI), un progetto avviato nel 2012, ha incominciato ad offrire 36
varietà di sementi vegetali originali a chiunque ne faccia richiesta,
gratuitamente, raccogliendo sino ad ora oltre
350 ordini da agricoltori di tutto il mondo. “Open source significa condividere
ed i semi in condivisione possono gettare le fondamenta per un sistema
alimentare più sostenibile e più giusto” spiega Jack Kloppenburg, docente di
sociologia dell’ambiente presso l’Università del Minnesota e fondatore
dell’OSSI.
Chi riceve i
semi dell’OSSI può utilizzarli come desidera, anche a scopo di ricerca, ma deve
assumere l’impegno di non impedire che altri facciano lo stesso. Semi di libertà crescono.
Fonte: Open Source Seed Initiative