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LA NUOVA INNOCENZA

Editoriale

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Vi sono
manifestazioni della natura davanti alle quali percepiamo un richiamo istintivo
estremamente profondo, un’empatia intensa e primordiale. Sono la semplicità, la
spontaneità e la grandezza dei fenomeni che ci riportano all’essenza della
nostra origine e che ci riavvicinano al significato più profondo ed essenziale
del nostro essere.

La mitezza e la saggezza degli elementi, degli animali e del
regno vegetale ci affascinano e ci appartengono intimamente, la natura
è forte e fragile, intensa e delicata, rapida e contemplativa, resistente e
arrendevole. Nel
nostro essere uomini e donne risiede un’arcaica impronta istintiva che tuttavia
parrebbe affievolirsi con l’avanzare del progresso umano. L’affannarsi per un
continuo perfezionamento materiale sembra alimentare progressivamente una
cultura di appropriazione e di sopraffazione individuale che paiono
allontanarsi sempre più dal messaggio primordiale della natura a cui
apparteniamo.

I valori
della forza, del successo e dell’eccellenza sembrano fare sempre più parte del
nostro impianto sociale ed educativo e sono trasmessi come icone di superiorità
e parametri di perfezione. Ci viene insegnato ad essere i migliori, i primi, a
superare gli altri e ad affermare la nostra individualità. Principi che
nondimeno, per risultare realisti e naturali, dovrebbero comprendere, oltre ai
concetti di competizione e di conquista, anche quelli di accettazione, di
fragilità e di arrendevolezza.

Ogni
azione della natura protende a favore del gruppo, del genere o della specie, mai
ad un’egemonia individuale o egoistica. Seguire il richiamo che ci riporta ad
essa e alla sua armonia, significa pertanto accogliere con un nuovo sguardo lo
spirito collettivo, la nostra finitezza, la vulnerabilità e la fiducia,
indietreggiando nei confronti delle pratiche di appropriazione delle cose e
delle azioni e al loro miglioramento per un’utilità personale; una ritrovata
purezza di intenti e di atteggiamenti.

Un nuovo
patto con la natura richiede una nuova innocenza, un regresso volontario verso
l’ingenuità. Non annullare la nostra capacità di agire ma, al contrario,
esercitare il coraggio morale e la forza dell’onestà intellettuale per un fine
che supera il nostro ego. Una riappropriazione cosciente dei nostri valori
archetipi e istintivi come membri della vasta comunità che è il mondo.

L’ingenuità non intesa come superficialità ma
come recessione volontaria all’autoaffermazione ed una profonda comunione con
le cose che tende a diventarne parte. La contemplazione del mondo non può
lasciare più spazio alla sua aggressione. Si tratta di
una scelta di semplicità e di accettazione di affermazione dell’”altro”.
Il contemplativo non è un asceta ma un animo capace di vedere la bellezza dei
papaveri in un campo incolto e di scorgere un raggio di luce all’interno di una
caverna buia. Lo stato di serenità e di bellezza contemplativo ferma la
tensione verso il dopo ed il ricorso
al prima per sostare nell’adesso, senza proiettarsi già alla sua
conclusione.

Un approccio naif che apprende dagli animali, dalle popolazioni primitive e
dagli anziani, che ritorna a vedere e a cantare la vita con l’animo poetico e con l’ingenuo
entusiasmo del bambino, che mette in gioco le idee le facoltà e le qualità
senza gabbie pregiudiziali, non più competitivo ma collaborativo, senza
costruzioni ideologiche, asti o rancori, patrie o
generi.

Non si tratta di magia o di leggerezza ma di una
purezza portata all’estremo, di uno stato attivo e propositivo, libero dai
condizionamenti, di una pratica morale virtuosa, reciproca e fraterna,
alleggerita dalla rabbia e dalla polemica, capace di perdonare, di respirare a
pieni polmoni l’aria del mondo che cambia e di sforzarsi di accettare la verità
dell’altro anche quando non la si comprende.


Luca Streri


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