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DONATO SPERONI

per la campagna per la Parità di Informazione Positiva #mezzopieno

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Giornalista e scrittore, responsabile della redazione dell’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile (Asvis). Scrive su Numerus, il suo blog sul Corriere della Sera. È stato condirettore di Mondo Economico, vicedirettore del Mondo, direttore di Capitale Sud, capo ufficio studi della Montedison, direttore centrale dell’Eni e dirigente dell’Istat. Ha insegnato Economia e Statistica all’Universtià di Urbino. Tra i suoi libri più recenti: “2030 La tempesta perfetta – Come sopravvivere alla grande crisi” (Rizzoli 2012), “I numeri della felicità (Cooper 2010).


 

Qual è per lei il ruolo dell’informazione sul benessere della società?

Il compito dell’informazione è quello di informare correttamente, quindi prima di tutto bisogna capire che cosa si intende con “informazione corretta”, quello è il suo ruolo. Poi di può discutere se l’informazione abbia o non abbia anche una funzione sul benessere della società.

 

Cos’è per lei una buona notizia?

È quella in grado di creare un senso di soddisfazione nel lettore. Che cosa significa notizia? Significa “informare su qualcosa di nuovo che il lettore non conosce” ad esempio quando dirigevo un settimanale che si occupava di Sud la buona notizia era quella che parlava di un’impresa che funziona, in un contesto generale di difficoltà.
Nel caso, ad esempio, della cooperazione internazionale si dovrebbero mettere in luce i piccoli progressi quotidiani, quelli che poi permettono di arrivare a dei risultati positivi. Invece di solito si parla di Africa solo per coprire le emergenze e non si raccontano mai i casi positivi, di progresso. Oppure, quando parliamo dell’Agenda 2030 e dei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, di cui oggi tutti parliamo, non possiamo dimenticarci che ci sono voluti due anni di lavoro per arrivarci, e questi due anni non sono più noiosi da raccontare, non fanno notizia. Ecco bisognerebbe avere l’umiltà di raccontare questi aspetti positivi senza teatralizzare quelli negativi.

 

Può il giornalismo rappresentare uno strumento per aumentare la fiducia e ridurre la conflittualità?

La conflittualità è insita nella società attuale. Ridurla non significa “spalmare un velo rosa su tutto”, ma se si raccontano gli aspetti positivi in un certo senso si riducono le reazioni esasperate, l’impressione che vada tutto male. Bisogna mostrare anche cosa fanno le persone di buona volontà, trovare spazio anche per il positivo.

Dobbiamo anche chiederci che cos’è il giornalismo oggi. C’è una grossa crisi in atto, non si vede più un giovane con un giornale in mano. Vi sono notizie flash, brevi, e l’impatto sul lettore si ha solo drammatizzando. Addirittura i siti di informazioni meteo drammatizzano i titoli più di quanto poi si legge nel resto dell’articolo!

È necessario tornare a un giornalismo di inchiesta che abitui la gente ad andare più a fondo. È un problema di educazione e di complessità. Ad esempio in passato i miei studenti di giornalismo di Urbino dovevano svolgere le loro inchieste nell’arco di giorni, ora l’obiettivo è scrivere una notizia in un’ora per i siti di informazione. Questo giornalismo difficilmente dà spazio alle buone notizie, perché deve colpire l’attenzione.

 

Qual è il suo contributo per una buona informazione?

Tutto il lavoro del sito Asvis tende a dare notizie da tutto il mondo per raggiungere gli obiettivi dell’Agenda 2030. Non trascuriamo di parlare di denunce e allarmi (anche il Segretario Generale delle Nazioni Unite Guterres ha recentemente ricordato che siamo in ritardo con il raggiungimento degli Obiettivi e che la fame nel mondo è tornata a crescere, invece di diminuire), ma parliamo anche di casi positivi, studi e buone notizie.

 

Cosa vuol dire per lei vedere il bicchiere mezzo pieno?

Tendenzialmente sono un ottimista e quindi di natura vedo il bicchiere mezzo pieno, anzi devo correggermi e quando scrivo cerco di raccontare sia gli uni che gli altri aspetti.


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