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CRISTINA PALAZZO

per la campagna per la Parità di Informazione Positiva #mezzopieno

Giornalista professionista freelance. Collabora con La Repubblica e Metro per cui segue la pagina di cronaca della città. Ha condotto studi sul fenomeno della spettacolarizzazione mediatica della violenza e sul fenomeno dell’ISIS.


 

Cos’è per lei una buona notizia?

È la notizia che alimenta una visione positiva del mondo e un approccio costruttivo ad esso. Che l’oggetto sia un bel gesto, un’iniziativa solidale, un progetto lungimirante o una storia ispirante è uno spaccato di realtà che esistendo aggiunge valore al contesto in cui si trova e non ne sottrae. Ci sono esempi continui e quotidiani che ognuno di noi può incontrare nella sua realtà, nel suo contesto lavorativo o nel suo quartiere e darvi voce significa rendere una buona porzione di realtà anche una buona notizia, capace di influenzare positivamente non solo chi la vive, nel suo piccolo, ma anche chi la legge, innescando un circolo virtuoso.

 

Può il giornalismo rappresentare uno strumento per aumentare la fiducia e ridurre la conflittualità?

Credo di sì, il giornalismo è portatore di informazioni e quindi di cultura, come parte essenziale della formazione dell’individuo sia sul piano intellettuale che morale. Non dovrebbe farlo smettendo di registrare i conflitti, ma, grazie alla pluralità di voci e di strumenti, contribuire a conoscerli e quindi ad alimentare l’apertura a nuove idee. Approfondirle credo possa essere un antidoto per il conflitto fra esse. Detto questo è necessario ripensare il settore a fronte delle nuove tecnologie e quindi dei nuovi bisogno: immediatezza non è sempre precisione e brevità non vuol dire chiarezza.

 

Qual è il suo contributo per una buona informazione?

Trasmetterla. L’informazione buona c’è, l’impegno è cercare realtà e progetti che, per la loro genuinità, semplicità e replicabilità possano essere di ispirazione e attivare la catena di buone azioni. È anche dar voce a persone che con le loro storie possano insegnare che migliorare si può, per se stessi ma anche per costruire quel che ci circonda. Che sia una parrocchia che apre le porte ai ragazzi in cerca di aule studio, la raccolta fondi di un quartiere per sostenere una famiglia in difficoltà, un giovane che sceglie di dedicare la sua vita agli altri o solo una staffetta di passaparola per salvare una realtà che rischia di chiudere per la crisi.

 

Cosa vuol dire per lei vedere il bicchiere mezzo pieno?

Sperare che il miglioramento sia possibile, anche laddove non sembra esserlo.  Senza partire dal guardare la distanza del traguardo, ma la vicinanza del piccolo gesto che può ridurla. È un’attitudine a non soffermarsi su quel che manca ma su quel che c’è, e quindi avere un’idea completa del bicchiere che non può prescindere da quel vuoto ma che non può adattarsi ad esso.


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