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AURORA NICOSIA

per la campagna per la Parità di Informazione Positiva #mezzopieno

Direttrice del settore informazione di Città Nuova e della rivista per ragazzi Teens, si occupa di giornalismo di approfondimento, storie di vita e di dialogo, in particolare del racconto di pratiche costruttive e virtuose del “Cantiere Italia”


 


Cos’è per lei una buona notizia?

Una buona notizia per me è senz’altro una notizia che parla di cose positive, che racconta storie di persone che si impegnano per il bene comune, per costruire una società più giusta e un mondo di pace. Questo vuol dire andare a cercare e mettere in luce il bene dove c’è, perché ce n’è tanto, anche in quei luoghi dove pensiamo che esista solo l’illegalità, il degrado, la mafia o la camorra. Così mi è successo quando sono andata a Scampia o a Forcella, quartieri tristemente noti di Napoli; oppure allo Zen e a Brancaccio a Palermo – solo per fare qualche esempio – dove ho incontrato tante persone positive. Ma è buona notizia anche quella che, pur parlando di fatti dolorosi, di tragedie, di guerre, dei tanti mali che affliggono l’umanità, è capace di scorgere la luce che oltrepassa il buio, come una feritoia che attraversa un luogo dominato dalle tenebre. 

 

Qual è per lei il ruolo dell’informazione nel benessere della società?

Tenere bassa la soglia del dolore sociale, cioè avvertirlo subito, non aspettare che oltrepassi certi limiti restando indifferenti, sfuggendo alle gravi problematiche degli altri esseri umani, facendosi anestetizzare dalla poca sensibilità nei confronti del prossimo che “mi sta accanto”.
Come giornalisti, evidentemente, non possiamo nasconderci di svolgere un ruolo che ha una sua particolare incidenza nella formazione dell’opinione pubblica. Non a caso quello dei media è stato definito il “quarto potere”, in grado quindi di determinare gli equilibri sociali a seconda del modo, più o meno corretto, in cui si riportano o si nascondono le notizie. Dobbiamo fare anche da sentinelle che vedono i pericoli, da antenne che captano i segnali di allarme, da amplificatori che rilanciano il grido inespresso di chi non ha voce, da ripetitori che svegliano le coscienze.

 

Può il giornalismo rappresentare uno strumento per aumentare la fiducia e ridurre la conflittualità?

Il giornalismo non solo può, ma deve fare la sua parte – ed è una parte significativa – per ridurre la conflittualità sociale che esplode sempre di più e con tutta la sua forza. Un’informazione di qualità, al servizio della persona, non cavalca i sentimenti predominanti. Sotto i nostri occhi da troppo tempo va in scena l’istigazione all’odio sociale. Di fronte a tutto ciò che causa l’impoverimento delle relazioni fra le persone, nel micro come nel macro cosmo, possiamo restare indifferenti o addirittura approvare chi fa la parte del duro, del cattivo, del bullo. Oppure, ed è quello che preferisco, alzare lo sguardo e aiutare gli altri a farlo, a volte anche indignandoci.

 

Qual è il suo contributo per una buona informazione?

Come giornalista, direttrice del mensile di opinione e del quotidiano on line Città Nuova, non posso esimermi dalla domanda se l’informazione che produciamo sia un’informazione di qualità. Ma su questo punto mi piacerebbe far parlare i nostri lettori, che per noi sono parte integrante della redazione, insieme ai tanti collaboratori dall’Italia e dall’estero. Proprio in questi giorni, infatti, abbiamo chiesto loro di aiutarci a definire le caratteristiche della nostra informazione, in vista di una campagna di comunicazione che parte dallo spunto “Città Nuova è”. Alcune delle parole emerse sono state: “stupore”, cioè la meraviglia per le storie che pochi raccontano ma che tutti vorrebbero conoscere; “relazione”, perché Città Nuova ci permette di sentire vicini i lettori e la community; “nostra”, perchè cerchiamo di includere, aprire, incoraggiare al confronto senza temere il dissenso; “ideale”, perché proponiamo un ideale di vita affascinante e realizzabile nel quotidiano da tutti; “cultura”,  perché entriamo piano piano nel buio della mente e la illuminiamo gradualmente, con spunti e riflessioni sempre nuovi; “universale”, perché è come un poliedro che contiene tutte le forme, come le maglie di una rete che abbraccia e include; “ascolto”, perché impariamo dal punto di vista degli altri; infine “dialogo”, perché Città Nuova mette in ascolto e attiva uno scambio trasparente di argomentazioni fra soggetti della società civile e politica.                                  

 

Cosa vuol dire per lei vedere il bicchiere mezzo pieno?

Vuol dire, anche nelle situazioni più difficili, complicate, dolorose, stare non dalla parte del problema, ma della soluzione. Significa lasciarsi guidare dall’ottimismo che, pur partendo da un sano realismo, non fa rinunciare alla speranza, non lascia che si rimanga sopraffatti, ma ci rende capaci di guardare lontano. In questo è importante non essere da soli e il lavoro che facciamo a Città Nuova va proprio nella direzione del noi, di una grande community che fa casa e dà voce a quanti credono che la fraternità sia possibile.

 


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