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DARIO LO SCALZO

per la campagna per la Parità di Informazione Positiva #mezzopieno

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Giornalista, scrittore e videomaker, si occupa di diritti umani e nonviolenza. Collabora con la TV svizzera
italiana RSI e con il The Post Internazionale (TPI).

Fa parte della redazione italiana dell’agenzia stampa internazionale di pace e non violenza Pressenza. Ha
scritto per le testate on-line Girodivite, Terranauta, Il Cambiamento e ha collaborato con Left Avvenimenti e con Il Clandestino con permesso di soggiorno. Ha ottenuto il Paul Harris Fellow come “persona impegnata nel promuovere una migliore comprensione reciproca e amichevoli relazioni fra popoli di tutto il mondo”.


Qual è per lei il ruolo dell’informazione sul benessere della società?

L’informazione oggi è diventata il primo potere perché, sulla base di ciò che viene mediatizzato, si conosce la società, si sceglie, si vota. Il cittadino di oggi si nutre di più rispetto al passato di informazione, una volta si leggeva solo un giornale, ora l’informazione arriva da molte fonti e quindi il suo peso è aumentato. Partendo dal presupposto che l’informazione giochi un ruolo preponderante, dobbiamo considerare l’aspetto etico e cioè il fatto che bisogna raccontare le storie per come sono, senza calcare sugli aspetti super-negativi ed esasperarli.

Io ho l’ambizione di scrivere per illuminare l’oscurità, contro un’informazione che tende al nichilismo, penso che ci debba essere un polo positivo in grado di contrapporsi al polo negativo rappresentato dall’informazione che i media sono soliti dare. È un impegno che mi prendo nella speranza che possa servire a accendere una luce. È una politica dei piccoli passi, certo, magari non si vedranno molti risultati, ma per me è quasi un dovere metterci la faccia e fare questo tipo di giornalismo. Mi considero un giornalista e un attivista, voglio raccontare le cose belle e positive che impattano nella società, anche se nessuno le racconta.

 

Cos’è per lei una buona notizia?

Intanto una buona notizia deve essere vera. E poi deve innescare il senso critico da parte di chi la riceve, in modo non manipolatorio. La buona notizia deve anche dare un senso di speranza e di equità nel raccontare l’essere umano. È quel tipo di notizia che si contrappone alla maggior parte delle notizie che si trovano sui mass
media e che in genere innescano paure e puntano solo allo scoop, che hanno una valenza solo negativa.

Paradossalmente anche quella che consideriamo di per sé una cattiva notizia può essere considerata buona se crea un reale senso critico e una coscienza di valore.

 

Può il giornalismo rappresentare uno strumento per aumentare la fiducia e ridurre la conflittualità?

Oggi il giornalista non ispira fiducia, ci vuole un sistema che dia indipendenza al giornalista, che ha dei vincoli e paletti nell’esprimersi. Anche se è preparato non riesca a far passare un senso di fiducia. Il mio sogno, la mia utopia, è di essere un giornalista che rappresenti un amico di cui fidarsi e che mostri la realtà in modo meno esasperante e drammatico. Oggi, soprattutto per i giornalisti online c’è la continua rincorsa ai click, alle visualizzazioni, la carriera dipende da queste cose e per andare dietro a questi aspetti si è portati a “forzare” un
titolo a in modo che faccia più scalpore, che aiuti ad acchiappare più pubblico.

 

Qual è il suo contributo per una buona informazione?

Cerco di raccontare quel mondo invisibile che esprime una forte positività e un messaggio di speranza. Ho scelto di posizionarmi in una nicchia e raccontare un mondo che colpisce, ma non con gli scoop a cui siamo abituati. L’effetto wow lo cerco per far vedere che c’è una luce. Certe volte sembra addirittura impossibile che esistano tante storie positive, perché le notizie buone sembrano quasi delle fake news, e invece esistono! Il mio contributo è proprio questo: raccontare storie di persone che realizzano cose importanti, ma che non trovano uno spazio mediatico che le racconti.

Ho iniziato a fare il giornalista proprio per raccontare una minoranza buona che fa cose straordinarie e che è oscurata dalle scelte mediatiche convenzionali. Nonostante tutto, il mondo è già in marcia verso progressi più positivi, ma se nessuno li racconta è difficile accorgersene.

Come diceva lo scrittore Eduardo Galeano l’utopia è come l’orizzonte in fondo al mare: fai dieci bracciate e l’orizzonte si allontana, altre dieci e si allontana ancora. Non lo raggiungi mai, ma intanto ti avvicini all’obiettivo. Ecco io credo in quello che faccio, molte cose sono utopie, ma meglio alzare l’asticella immaginare un mondo non violento piuttosto che accontentarsi.

 

Cosa vuol dire per lei vedere il bicchiere mezzo pieno?

Il mio discorso sull’utopia si allinea con il concetto di bicchiere mezzo pieno. Ho lasciato il mio tranquillo lavoro in banca per dedicarmi all’attivismo perché ho visto  un potenziale, che è appunto quello del bicchiere mezzo pieno, se avessi visto solo il bicchiere mezzo vuoto non avrei fatto queste scelte. L’approccio mezzo vuoto, negativo, non fa girare il mondo, non serve a raccontare la bellezza del mondo. Il concetto di bellezza  è trainante per me, e desidero condividerlo con gli altri: vale per la bellezza dei luoghi che ho visitato e anche per le persone straordinarie che ho conosciuto e che faccio conoscere agli altri conla scrittura, i documentari e lavori di videomaking.


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