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Giornalista de Il Sole 24 Ore. Ha scritto per molti anni per il Gazzettino di Venezia prima di occuparsi di imprese ed economia del territorio, di innovazione, aziende e “buone idee da far girare”. Ha pubblicato “Nati altrove – Storie di adozioni internazionali” (2010 Paoline Editoriale) che parla dei nuovi italiani, di come hanno cambiato la loro vita e quella di chi li ha accolti.
Qual è per lei il ruolo dell’informazione sul benessere della società?
È fondamentale, perché essere informati serve a fare delle scelte, a interpretare quello che accade, a guardare oltre il proprio confine.
Cos’è per lei una buona notizia?
Una notizia che mette in luce valori positivi, capacità di reazione, e che diffonde idee e buone pratiche perché possano raggiungere più persone possibile
Può il giornalismo rappresentare uno strumento per aumentare la fiducia e ridurre la conflittualità?
Si, anche se onestamente in questo periodo c’è una parte di giornalismo che ha pesanti responsabilità in senso opposto. La fretta, la mancanza di controlli e verifiche, non possono più essere una scusante (e tantomeno la partigianeria). Esistono però alcune forme di giornalismo innovativo che si basano proprio sul recupero della fiducia con i lettori, direi uno ad uno. Sarà una strada lunga
Qual è il suo contributo per una buona informazione? (programmi, pubblicazioni, progetti realizzati…)
Io mi occupo di imprese ed economia, nelle regioni del Nordest. Nonostante la crisi proprio qui sempre più realtà hanno deciso di investire sul capitale umano, sul benessere di chi lavora, sulla sostenibilità, qui sono nati esempi di welfare fra i più avanzati, qui sta crescendo il modello delle società benefit che mettono sullo stesso piano il profitto e un ruolo positivo sulla comunità tutta. Il mio ruolo è quello di far girare il più possibile queste esperienze, perché possano essere riprese, imitate, condivise. E poi ci sono le iniziative sul piano dell’innovazione sociale, anche queste nate come reazione alla crisi: il dentista sociale, il lavoro in carcere, la
cooperazione, e molto altro.
Cosa vuol dire per lei vedere il bicchiere mezzo pieno?
Cercare di credere che le notizie che meritano di essere raccontate saranno sempre di più, e sempre meno quelle che fanno perdere fiducia in un progresso della società. Credo che ci voglia volontà per vedere il bicchiere mezzo pieno, e ancora di più per chiedersi: io come posso fare per riempirlo almeno un altro po’?
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