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GIUSI FASANO

per la campagna per la Parità di Informazione Positiva #mezzopieno

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Giornalista, al Corriere della Sera dal 1989. Da più di 30 anni racconta storie di cronaca, quasi sempre nera o giudiziaria ma senza mai aver perso l’attenzione per le persone e uno stile rigoroso e rispettoso dell’umanità di ogni storia.




Qual è per lei il ruolo dell’informazione sul benessere della società?

Non sarei così diretta nel dire “buona informazione = benessere della società”, poiché si tratta di un passaggio molto involuto e lungo. Il benessere della società, infatti, è complesso ed è dato dall’unione di tanti fattori, di cui l’informazione costituisce solo un piccolo segmento. La buona informazione può contribuire al benessere perché è lo specchio di quello che avviene in una società, quindi contribuisce alla comprensione di quello che ci accade attorno e in qualche misura ad accettare meglio, a vivere meglio e quindi anche a stare meglio.

 

Cos’è per lei una buona notizia?

Per me una buona notizia riguarda qualcosa che succede e che mi fa sentire meglio di come mi sentivo l’attimo prima di leggerla. Una notizia che contribuisce ad essere migliorativa della mia vita in quel momento.

 

Può il giornalismo rappresentare uno strumento per aumentare la fiducia e ridurre la conflittualità?

Sicuramente sì. Partendo dalla fiducia, è un germoglio di informazione che fa crescere l’albero della fiducia nelle persone, che hanno bisogno di sentire quello che sta accadendo attorno a loro per poterne misurare le distanze, le difficoltà, la preparazione.

Rispetto alla conflittualità bisogna chiarire di quali conflittualità parliamo. La conflittualità politica, per esempio, difficilmente potrà essere ridotta dall’informazione, che però sicuramente può non alimentarla. In generale il giornalismo deve sempre registrare anche le cose che sono conflittuali, come le opinioni divergenti: nella vita, nella politica, nella scienza.

 

Qual è il suo contributo per una buona informazione?

Anzitutto valutare e verificare sempre le informazioni. Poi, occupandomi soprattutto di cronaca, cerco di entrare nella vita degli altri con delicatezza, in punta di piedi, senza aggressività, senza strepitii. Fare buona informazione, quando racconti fatti di cronaca come faccio io, vuol dire mettersi nei panni dell’altro, non generare insistenza dove non serve ed essere il più possibile empatico, ricordandoti sempre chi hai davanti.

 

Cosa vuol dire per lei vedere il bicchiere mezzo pieno?

Anzitutto vuol dire stare bene con sé stessi, perché se non stai bene con te stesso tendi sempre a vedere il bicchiere mezzo vuoto. Lo sguardo sul bicchiere, infatti, ha una componente che viene da prima di posarci sopra gli occhi, cioè da come sta chi lo osserva. Vedere il bicchiere mezzo pieno vuol dire essere disposti ad accettare che ce ne sia una parte mezzo vuota, essere disposti a capire che quel mezzo pieno si può riempire, e non che quel mezzo vuoto può diventare molto vuoto. Vedere il bicchiere mezzo pieno vuol dire essere positivi, ma nel senso di avere la forza della speranza che quel bicchiere diventi tutto pieno. Non è una cosa facile per la tenacia delle cose che non vanno, ma si può fare con la volontà di alzarsi.


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