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JODIE JACKSON

per la campagna per la Parità di Informazione Positiva #mezzopieno

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Autrice e attivista inglese. Membro del The Constructive Journalism Project, il movimento internazionale per il giornalismo costruttivo e ricercatrice sull’impatto psicologico delle informazioni delle notizie sul lettore, in particolare sul ruolo delle notizie positive e sui suoi effetti percepiti. Master in Psicologia positiva, collabora con diverse testate giornalistiche tra cui Reasons to be cheerful di David Byrne. Ha scritto il best-seller internazionale You Are What You Read (Unbound 2019).


 

Qual è per lei il ruolo dell’informazione nel benessere della società?

Il presidente Roosevelt definì come “indispensabili al benessere della società” le notizie e i giornalisti, ed in particolare il loro modo di esporre i fatti. Mettendo in luce gli aspetti negativi della realtà, l’industria dell’informazione ha consentito di correggere molti errori, tenuto le persone al sicuro e favorito una legislazione migliorativa. Infatti, a meno che non veniamo messi direttamente di fronte ad un problema, non siamo in grado di affrontarlo o correggerlo, e questa è una cosa buona. Purtroppo, però, il fatto che qualche cosa porti benefici non vuol dire che questi siano infiniti: il suo uso eccessivo può essere dannoso. Roosevelt continuò sottolineando che questo valore poteva essere positivo solo se i giornalisti avessero saputo riconoscere quando
fermarsi. Così non è stato. La nostra cultura dell’informazione si basa sul motto:” se sanguina, fa notizia”, col risultato che le informazioni riportate riguardano i problemi più estremi, le guerre, la corruzione, gli omicidi, le
carestie e i disastri naturali che vengono esaltati, a scapito delle, sempre più ignorate, notizie di risoluzioni, di progresso, di riappacificazione e di sviluppo. Questa sovra-rappresentazione delle problematicità e
sotto-rappresentazione delle soluzioni crea una visione distorta della realtà. Ci viene trasmessa l’impressione di vivere in un mondo spezzato, in rapido declino. Questa visione, però spesso non combacia con la verità.

Ciò comporta gravi conseguenze psicologiche e sociologiche. Un’esposizione prolungata a notizie negative può renderci molto ansiosi, pessimisti e depressi. Sentimenti così ben interiorizzati che restano anche una volta spenta la televisione. Inoltre, sviluppiamo la sensazione di essere completamente impotenti: i problemi che ci mostrano sono talmente grandi, che non ha senso nemmeno provare a trovare una soluzione, o veniamo
comunque scoraggiati dal cercare di aiutare, aumentando così i nostri sentimenti di ostilità e disprezzo nei confronti dell’altro. La paura, poi, è un’altra risposta comune che causa la chiusura in noi stessi, come forma di
auto-protezione, provocando un distacco dalle altre persone i cui problemi non ci preoccupano più di tanto e diventando così sempre più insensibili. Infatti, siamo talmente abituati a sentir parlare di tragedie, crisi, violenze che queste hanno perso il loro valore sconvolgente.

 

Qual è per lei la definizione di notizia positiva?

Il termine giornalismo costruttivo viene usato per descrivere delle notizie che diano il contesto e la prospettiva, così come delle soluzioni. Non parliamo di storielle tenere ma di “giornalismo rigoroso che riporti criticamente i progressi tangibili apportati per consentirci di capire come affrontare le varie problematiche.” Continuiamo ad informarci sul problema, che però non è il punto finale della storia, infatti poi proseguiamo indagando e cercando di capire come questo venga risolto, come hanno reagito le persone, che misure sono state adottate e ci domandiamo se queste siano efficaci. Questo, non per il semplice fatto di farci sentire bene, ma per una migliore comprensione, un resoconto più accurato della realtà.

 

Il giornalismo può essere uno strumento per aumentare la fiducia e ridurre la conflittualità?

Sì, si è visto che l’inclusione del giornalismo delle soluzioni nella dieta mediatica delle persone crea nella
comunicazione un buon equilibrio e fornisce una prospettiva e un contesto migliore. Si è visto inoltre che questo riduce l’ansia, aumenta i sentimenti di ottimismo e speranza, migliora a breve termine il nostro umore e cambia a lungo termine la nostra mentalità. Suggerire delle soluzioni poi fornisce una narrativa riparativa, ripristina la nostra fede nell’umanità, migliora la coesione sociale e costruisce la resilienza.

Una delle principali e più interessanti scoperte per le redazioni è che gli stili differenti aumentano costantemente il coinvolgimento dei lettori che sono più invogliati a leggere e condividere i contenuti, si soffermano più a lungo sugli articoli, si sentono più informati, hanno più desiderio di approfondire e sono più propensi a pagare per questo servizio. Questa maggiore partecipazione ci può incoraggiare ad affrontare positivamente i problemi anziché evitarli o ignorarli, aumentando la fiducia in noi stessi. Questo avviene perché il parlare di risoluzioni accresce i sentimenti di speranza, ottimismo ed autostima. Ciò ci permette di credere che il futuro possa essere migliore del passato (non che lo sarà per certo) e che le nostre azioni possono effettivamente fare la differenza.

A volte abbiamo l’esigenza di vedere per credere, e se ci limitiamo alle sole storie di problemi e fallimenti diventa ancora più difficile vedere le varie sfumature, ci intrappoliamo in un’esistenza limitata da ciò che ci viene detto non aver funzionato.

 

Qual è il suo contributo all’informazione positiva?

Negli ultimi dieci anni ho studiato gli impatti psicologici delle notizie. In questo lasso di tempo ho contribuito la
movimento del giornalismo costruttivo in diversi modi, tra cui: gestire il sito web, raccogliere gli articoli di giornalismo delle soluzioni; organizzare eventi e raccolte fondi, scrivere per piattaforme affermate ed emergenti,
partecipare a delle tavole con importanti pensatori, accademici e giornalisti, condurre la mia famosa ricerca sugli effetti che le tendenze delle notizie hanno sui consumatori, e ora, anche, scrivere il libro: “Sei ciò che leggi”.

 

Cosa significa per lei vedere il bicchiere mezzo pieno?

Significa vedere l’intero bicchiere: non possiamo guardarlo e dire che è mezzo pieno o mezzo vuoto. Noi guardiamo il bicchiere e riconosciamo che è entrambi le cose. In questo senso non si tratta di spostare l’accento dei media dai problemi alle soluzioni, ma si tratta allargare la visione dei mezzi di comunicazione perché li riconoscano e li includano entrambi.


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