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MASSIMO CEROFOLINI

per la campagna per la Parità di Informazione Positiva #mezzopieno

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Giornalista, conduttore radiofonico, autore televisivo e sceneggiatore. Conduce il programma Eta Beta, su Radio1 Rai, dedicato agli impatti delle tecnologie sulla vita delle persone.
Ha lavorato per Ansa, L’Espresso, Tg3, Gr3 ed ha scritto soggetti e sceneggiature per diverse fiction su RaiUno.

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Cos’è per lei una buona notizia?

Una buona notizia rientra in un genere di notizie positive o ispirazioni che hanno come contenuto una storia o una tendenza capace di risvegliare valori silenti o poco esplorati come il coraggio, la resistenza, la voglia di riscatto, la collaborazione, la fantasia, la tenacia o la solidarietà. Si tratta di un genere giornalistico, al pari di altri come l’inchiesta o la cronaca nera, non è migliore o peggiore, ma ha come taglio uno spirito costruttivo, anche se può partire da storie di denuncia o persino drammatiche.

Nelle mie trasmissioni evito il confronto di posizioni contrapposte, con l’effetto rissa che va un po’ per la maggiore, proprio perché cerco di portare contenuti di proposta e di innovazione, uniti a uno sguardo verso il futuro che sia in qualche modo carico di speranza. Anche quando guardo agli aspetti problematici del futuro, che ovviamente ci sono, cerco di farlo con lo spirito positivo. Tutto va fatto senza calcare troppo la mano, cercando di bilanciare la positività con la criticità, senza far diventare troppo zuccherosa la notizia ma neanche eccessivamente allarmistica. È un equilibrio molto difficile.

 

Qual è per lei il ruolo dell’informazione nel benessere della società?

Il tipo di informazione di cui mi occupo è un genere di giornalismo che si pone come una delle tante proposte e non pretende di essere la migliore. Per questo provo a proporre uno sguardo positivo dei contenuti, andando sempre a verificare le fonti in tutti e due i versi, nel tentativo di non scivolare su storie ingannevoli, eccessivamente positive ma, nello stesso tempo, rifuggendo da quel tipo di giornalismo scandalistico, che ha molto seguito, che a volte stimo in altri colleghi, ma che non rientra del tipo di informazione che faccio. Mi posiziono su un altro taglio, quello del giornalismo che osserva senza giudicare, aperto e curioso, capace di affrontare i problemi avendo fiducia nelle soluzioni; credo che il racconto del futuro debba essere sempre corredato da una proposta. La denuncia serve, ma da sola non basta.

 

Può il giornalismo rappresentare uno strumento per aumentare la fiducia e ridurre la conflittualità?

Sì, ma spesso è l’opposto. La strada più facile è creare polarizzazioni: è la tentazione della scorciatoia più comoda. Il giornalismo costruttivo per sua natura rischia di diventare noioso, quindi ci vuole grande fantasia per saperlo proporre, perché va a competere con un giornalismo dal richiamo molto maggiore.
Mostrare un alterco tra due personaggi è più semplice dell’inchiesta fatta con cura, ma questo è quello che cerco di fare nel mio mestiere.

 

Qual è il suo contributo per una buona informazione?

Il mio strumento sono le storie. Una notizia con un contenuto funzionale e tecnico può acquistare forza se raccontata partendo dalle motivazioni e dalla storia di chi ha avuto l’idea. Cerco di dare un’epica al racconto che altrimenti rimane tecnologico e freddo e quindi visto con sospetto dai lettori.

Tra lo scontro televisivo tra uno scienziato e un Novax che si insultano a vicenda e un articolo fatto bene mettendo anche in evidenza le criticità dei vaccini in modo non schierato e suffragato dai dati, chiaramente il primo approccio ha molta più presa. Io sono per il rigore e per l’ascolto delle parti che hanno titolo per parlare di un determinato argomento. Nello stesso tempo, venendo peraltro dal lavoro di sceneggiatore, credo che le storie delle persone debbano avere in un certo senso la precedenza. A volte è meno rigoroso raccontare storie perché sono suscettibili di parzialità o di emotività, ma se cerchiamo un modo per veicolare i concetti scientifici, portarli attraverso le storie è un modo che funziona.

Quando in questa pandemia si è affievolita la narrazione delle storie perché ha preso il sopravvento il tecnicismo dei vaccini, allora hanno incominciato a nascere i sospetti e la diffidenza. E i medici hanno smesso di essere gli eroi per diventare, nel racconto dei Novax, i servi del sistema. Per proporre una notizia positiva deve esserci innanzitutto una narrazione, naturalmente verificata autentica e raccontata con equilibrio.

 

Cosa vuol dire per lei vedere il bicchiere mezzo pieno?

Albert Camus diceva che “innovare è ridurre la quantità netta di dolore nel mondo”. Il lavoro del giornalismo e dell’informazione costruttiva può rimuovere gli elementi di sofferenza nella vita delle persone, le tenebre e la confusione, a cui talvolta il giornalismo contribuisce. E può al contempo liberare la scintilla di speranza che tutti abbiamo dentro di noi e che desideriamo intimamente vedere incendiare il mondo.

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